Studio di Psicologia Arche'

Essere il più sinceri possibili…è possibile?

Molte volte da genitori si mente ai propri figli. Lo si fa, spesso, con omissioni e segreti per evitare di raccontare verità difficili e complesse. Tuttavia è vitale promuovere una comunicazione aperta e sincera con i propri figli per aiutarli a comprendere la realtà, a fidarsi e, di conseguenza, ad affidarsi. In questo articolo si analizzano le ragioni della menzogna ed il peso delle bugie per delineare le conseguenze che questi comportamenti possono avere sullo sviluppo psicologico del bambino/a.

Sforziamoci di non mentire ai bambini

Da genitori a volte ci si può trovare a mentire al proprio figlio.

E’ importante interrogarsi sul peso delle bugie: se infatti, alcune sono bugie buone (“che bello” e magari, si è bello…ma è anche il 200esimo scarabocchio che mi fa mio figlio) altre compromettono la fiducia del bambino nell’adulto.

Questo non è il caso delle bugie buone, ma quando si mente su questioni importanti – una malattia del genitore, una separazione, una morte di qualche coetaneo o amico, un’adozione – è sempre importante e vitale parlarne al bambino, tenendo conto della “verità̀ narrabile”.

La verità narrabile, come ricorda Oliverio Ferraris (2015), non corrisponde alla cruda realtà dei fatti.

Questo significa che la narrazione deve essere declinata ed attenta alle caratteristiche del bambino, alla sua età e alle sue capacità di comprensione.

Ad un bambino di 5 anni è possibile spiegare una separazione e le sue implicazioni in modo molto differente rispetto ad un pre-adolescente di 12 anni.

Ad esempioa 5 anni si può comunicare: “Mamma e papà non vanno più d’accordo ma continueranno ad essere i tuoi genitori ed amarti, non è colpa tua” mentre con la pre-adolescenza la narrazione si può approfondire: “Come sai è da tanto tempo che la mamma e il papà non vanno d’accordo e l’amore può finire, perciò abbiamo pensato di separarci. Cosa ne pensi?”.

Oppure, in caso di adozioni, con un bambino piccolo, che ha meno di 6 anni, si può semplicemente dire: “La tua mamma e il tuo papà ti volevano bene ma non riuscivano ad occuparsi di te, per questo hai altri due mamma e papà”.

Con il crescere dell’età, ad esempio verso i 10 anni, si può approfondire la storia di vita: “Purtroppo nello stato in cui sei nato c’era una guerra e tanta povertà, la tua mamma ti ha dovuto lasciare in orfanotrofio, dove stavi con altri bambini e andavi in una scuola senza mattoni e dove a volte pioveva dentro. Dopo due anni noi, che cercavamo tanto un bambino, siamo venuti a conoscerti e finalmente sei entrato nella nostra vita”.

Anche in casi di malattie di familiari la comunicazione dovrebbe essere tarata in base all’età del figlio.

Ad un bambino di età-prescolare si può semplicemente dire: “Nonna deve curarsi, abbiamo scoperto che ha una malattia e la potrai vedere diversa” mentre ad un adolescente si può spiegare la situazione nella sua complessità: “Nonna è stata ricoverata in ospedale, oggi parliamo con i medici. Ti racconteremo tutto al nostro rientro”.

Ma perché è importante non mentire ai bambini ?

Perché i bambini, come gli adulti ed ogni essere umano, dovrebbero conoscere la verità per comprendere che cosa sta succedendo in famiglia o fuori: ciò che ci spaventa, come esseri umani, è sempre l’incertezza e la non prevedibilità.

Proteggere i propri figli con omissioni, bugie o segreti può portarli verso l’incertezza, la confusione e la paura. Invece, cercare di essere onesti e parlare apertamente con loro può aiutarli a sentirsi al sicuro e protetti.

Ricorda che se se ne parla vuol dire che qualsiasi cosa può essere affrontabile, perché non sottaciuta.

Perché, però, preferiamo mentire ai bambini?

Perché la situazione ci sembra inaffrontabile per loro e desideriamo che i nostri bimbi siano sempre sorridenti e privi di preoccupazioni.

I bambini ci sembrano sempre indifesi e fragili: il che è vero solo in parte.

Tutti gli studi di psicologia dello sviluppo ed in campo neuroscientifico, infatti, (Tronick, 2003; Beebe e Lachmann, 2002) dimostrano come il bambino non sia affatto un soggetto passivo della realtà, ma un soggetto attivo e con un repertorio di capacità potenziali in formazione.  

Ciò che paralizza il bambino è il non poter sapere, il non poter confidare le proprie paure, rimanendo nell’incertezza. Questo può portarlo a sviluppare difficoltà in area emotiva.

Narrare verità complesse può essere un compito difficile per un adulto e un percorso psicologico condiviso può aiutare ad esplicitare una verità taciuta e invalidante per il bambino.

Bibliografia:

      • Beebe B., Lachmann F. (2002) Infant Research e trattamento degli adulti. Un modello sistemico-diadico delle interazioni trad. it., Cortina, Milano, 2003.

      • Oliverio Ferraris A., (2015) La donna che scambiò suo marito per un gatto. Psicologia di coppia e di famiglia, Editore Piemme, 2015.

      • Tronick E. Z. (2001) Emotional connections and dyadic consciousness in infant-mother and patient-therapist interactions. Commentary on paper by F. Lachmann Psychoanalytic Dialogues, 11, 2: 187-194.

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